Sherlock 3.0: come una storia di oltre un secolo sta rivoluzionando la tv.

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(Questo post contiene spoiler su The Empty Hearse)

Dopo due anni di attesa, mercoledì scorso è andato in onda il primo episodio della terza stagione di Sherlock, la serie della BBC che rilegge in chiave moderna le avventure del celebre detective creato da Sir Arthur Conan Doyle.

The Empty Hearse (letteralmente “il carro funebre vuoto”, titolo che gioca con il nome del racconto che segna il ritorno di Holmes nel canone, The Adventure of the Empty House) doveva dare risposta ai grandi interrogativi lasciati alla fine di The Reichenbach Fall: come ha fatto Sherlock Holmes a fingere la sua morte? E come reagirà John Watson quando scoprirà che il suo migliore amico è vivo e vegeto? Inoltre, come verrà svelato il piano ideato da James Moriarty per screditare Sherlock, facendolo passare per un impostore? La soluzione è stata decisamente anticonvenzionale e ha polarizzato le opinioni di fan e critica.

In primo luogo, le teorie: l’intero episodio gioca sul mistero che ci ha fatto scervellare per due anni, ovvero come Sherlock sia riuscito a fingere il suicidio. Vediamo Philip Anderson, che abbiamo imparato a conoscere come aperto osteggiatore del consulente detective e dei suoi metodi, nonché uno dei primi ad averlo creduto un impostore, alla presa con delle fantasiose ricostruzioni degli avvenimenti (l’episodio stesso si apre con una di queste ricostruzioni, dove Holmes pianifica un’uscita di scena degna di James Bond). L’uomo, infatti, è convinto che Sherlock sia ancora vivo e ne segue le tracce, probabilmente distrutto dai sensi di colpa in seguito alla scoperta dell’effettiva colpevolezza di Moriarty, fino a fondare una sorta di club (che ha come nome il titolo dell’episodio) in cui “fan” di Holmes discutono teorie più o meno probabili su come Sherlock sia riuscito a sopravvivere alla caduta.

In secondo luogo, l’incontro con John: nel canone, la reunion fra i due è drammatica (con Watson che sviene appena rivede l’amico creduto morto) ma abbastanza indolore e piena di reverenza, come d’altronde si addiceva ai costumi dell’epoca. In The Empty Hearse, invece, si è deciso di renderla esilarante, ma non per questo meno credibile: Sherlock va al ristorante dove John ha dato appuntamento alla sua nuova compagna Mary Morstan per chiederle di sposarlo, e si camuffa da cameriere (a mio avviso, più per mancanza di coraggio che per l’effetto sorpresa), rivelandosi all’amico proprio di fronte a Mary. La reazione di Watson è straordinaria (e qui bisogna davvero riconoscere le grandi doti recitative di Martin Freeman): passa da spaventato a morte a genuinamente stupito, così sopraffatto dall’emozione da non riuscire nemmeno ad articolare le parole; poi, proprio quando nel suo sguardo comincia ad intravedersi un lampo di sollievo, Sherlock comincia a fare battute fuori luogo sui baffi che l’amico si è fatto crescere nel periodo della sua assenza, e in quel momento l’ira ha la meglio su Watson, che si avventa su Holmes diverse volte, man mano che lui gli rivela i motivi per cui l’ha tenuto all’oscuro di tutto.

Il resto dell’episodio continua su questo tono, fra l’ironico ed il comico, il che è abbastanza inusuale per una serie che ci ha regalato momenti di drammaticità unici nel loro genere, ma la spiegazione – a mio avviso – è semplice.

Sherlock, oltre ad essere una delle migliori serie televisive degli ultimi anni, è un esperimento interessante di “social show“, in cui l’interazione con gli spettatori viene trattata in modo innovativo. Fin dall’inizio, infatti, è stato fatto un largo uso dei social media per promuovere la serie (io stessa ne sono venuta a conoscenza tramite l’assiduo passaparola su Tumblr), e nella narrazione le nuove tecnologie la fanno da padrone, con le memorie di Watson ed il saggio di Holmes su La scienza della deduzione che diventano dei blog, non solo nella serie ma anche nella vita reale: The blog of Dr. John H. Watson The Science of Deduction vengono aggiornati parallelamente alla messa in onda degli episodi, creando così un’esperienza inclusiva per gli spettatori, e facendoli sentire parte della storia. Anche mezzi più classici come mini-episodi, video speciali (a volte creati utilizzando volti conosciuti della tv inglese come conduttori di telegiornali) e teaser  vengono utilizzati sapientemente per creare hype. La stessa decisione di ridurre il periodo nel quale Holmes si finge morto da tre a due anni, facendolo così coincidere con il tempo effettivo passato dalla messa in onda della seconda stagione, è un espediente intelligente per aumentare il senso di realismo e di partecipazione attiva (mentre, in verità, la pausa è stata causata dagli impegni hollywoodiani del cast).

Questa attenzione meticolosa per i fan raggiunge il culmine proprio in The Empty Hearse. Mark Gatiss (sceneggiatore dell’episodio e co-ideatore della serie insieme a Steven Moffat, nonché interprete di Mycroft Holmes) ha deciso di attingere a piene mani dal fandom: le teorie sul finto suicidio, la “sorpresa” di Sherlock a John, lo stesso fan club e molte battute – soprattutto quelle sui baffi di John – sono state rielaborate direttamente dai contenuti multimediali (fanfiction, fanart, discussioni su blog e forum, ecc.) che gli utenti appassionati della serie hanno prodotto in questi due anni. Per non parlare delle scelte di casting: per interpretare Mary Morstan è stata scelta Amanda Abbington, compagna di Martin Freeman anche nella vita reale, mentre i genitori degli Holmes che si vedono in un breve cameo sono Wanda Ventham Timothy Carlton, i veri genitori  di Benedict Cumberbatch.

Si è parlato, in questo senso, di metanarrazione, di rottura della quarta parete, di mero fanservice (e addirittura di appropriazione indebita di proprietà intellettuale), ma secondo me è molto di più.

Con l’avvento dei social network, il rapporto fra chi lavora nello show business e il pubblico è cambiato: non solo quest’ultimo dà un feedback immediato nei confronti dei primi, ma sempre più spesso si sente in potere di intervenire per cambiare “le regole del gioco”. Tutte le produzioni degli ultimi anni hanno subito l’influenza di questo nuovo modo di comunicare, soprattutto le serie televisive. Basti pensare al pasticcio senza senso che è diventato Glee, proprio perché i produttori hanno ceduto alle pressioni dei fan più ostinati e hanno cominciato a cercare di accontentarli, scontentandone altri e compromettendo definitivamente la già fragile continuità della serie. Tornando alla televisione inglese, lo stesso Moffat ha dovuto cancellare il proprio account Twitter dopo i ripetuti insulti e minacce ricevuti da quando è diventato produttore esecutivo e maggiore sceneggiatore di Doctor Who, dando alla serie una svolta che alcuni fan hanno ben poco apprezzato.

L’esempio di Sherlock rappresenta un modo geniale di gestire il rapporto coi fan, senza soccombere a loro e perdere così il filo narrativo. Dopotutto, gli sherlockian (o holmesian) sono sempre stati un elemento fondamentale nella storia del più famoso (consulente) detective al mondo, e questo è un modo innovativo – se non rivoluzionario – di rendere loro omaggio.

4 thoughts on “Sherlock 3.0: come una storia di oltre un secolo sta rivoluzionando la tv.

  1. Nadia Strawberrie January 14, 2014 / 1:56 pm

    Ciao cara, sono capitata da queste parti per caso, dopo essermi imbattuta in un tuo link su Twitter!
    Mi piace moltissimo il modo in cui scrivi e trovo che la tua analisi su The Empty Hearse (e in particolare il riferimento al concetto di “social show”) sia una delle migliori riflessioni che io abbia letto sull’argomento.
    Ancora i miei più sinceri complimenti, tornerò sicuramente a leggerti! 😀
    Nadia

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    • lalaferla January 14, 2014 / 9:16 pm

      Ti ringrazio per i tanti bei complimenti! Mi fa piacere ricevere del feedback positivo, soprattutto quando viene da “colleghi” sherlockian 🙂

      Ho dato un’occhiata al tuo blog e mi piacciono un sacco le tue riflessioni ed analisi, la pensiamo allo stesso modo su molte cose (sia riguardo Sherlock che Doctor Who), e ne sono felice visto che malauguratamente ci troviamo spesso in minoranza.
      Ci si legge in giro, allora!

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