Ridatemi le drag queen sui carri

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È partita in questi giorni la massiccia campagna di comunicazione di Onda Pride, il movimento che raccoglie e coordina le manifestazioni per i diritti LGBTQIA che quest’estate percorreranno tutta Italia. Una volta si chiamavano semplicemente “gay pride”, e ad accompagnarli c’era sempre una scia di polemiche legate al modo di manifestare, più una parata di carnevale che una marcia per i diritti.

Forse è per questo che, già da qualche anno a questa parte, il Pride sta cambiando volto, politicizzandosi sempre più e cercando così di essere più serio e inclusivo. Quest’anno diventa addirittura #Human, cancellando quasi del tutto i riferimenti palesi al mondo gay. È una buona mossa? A mio avviso no, e cercherò di spiegare perché.

Partiamo dai testimonial: per la campagna sono stati scelti degli attivisti veri, nell’intento di dare un volto autentico alle varie sfaccettature della comunità – gay, trans, bisessuali, lesbiche e persino alleati etero – ma a prevalere è sempre e comunque il maschio bianco, in questo caso Fabrizio, 26 anni. Il suo bel viso è quello messo in primo piano nei poster ufficiali e nell’album sponsorizzato su Facebook, e questo la dice lunga sulla politica e sull’estetica prevalente nella comunità.

Il queer modello dev’essere uomo, bianco, giovane – se sopra i quarant’anni, è accettabile solo barbuto – virile, ateo e di sinistra (perché la destra è sempre omofoba, non importa che due governi conservatori abbiano da poco reso legali i matrimoni fra persone dello stesso sesso). Chi non si conforma a questo standard è una checca, e se non fa della sua omosessualità uno stendardo, una velata. Non a caso il femminile viene usato come dispregiativo, e questo la dice lunga sul grado di inclusione e tolleranza all’interno della comunità gay (per approfondire quest’argomento, consiglio la lettura di questo bellissimo post di Marco Stizioli).

Inoltre, sembra che nel nuovo Pride gli alleati etero abbiano più visibilità dei bisessuali, da sempre pecore nere della comunità e spesso discriminati dagli stessi gay. I trans? Sono i benvenuti, ma solo se padri o madri di famiglia. E le famose drag queen sui carri, elemento più discusso dei gay pride? Relegate in un angolino assieme ai bisessuali, mentre gay ed etero lottano seriamente per diventare normali.

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Insomma, una comunità sempre più omonormativa (lo so, è un termine brutto usato principalmente dai complottisti della “teoria del gender”, ma non so come altro definirla), dove si esalta il conformismo e non c’è spazio per chi vuole distinguersi.

Probabilmente eviteranno la famigerata auto-ghettizzazione tanto rinfacciata dai detrattori, ma così scompare di fatto una delle poche manifestazioni individualiste libertarie rimaste in circolazione.

2 thoughts on “Ridatemi le drag queen sui carri

  1. Marco Stizioli May 28, 2015 / 12:09 pm

    Grazie per avermi citato 🙂 Ma non sono d’accordo con te. In quel human c’è spazio per tutti: anche per le drag. Se leggi il manifesto dell’Onda, sottolinea molte volte l’importanza delle diversità.

    E il pride lotta per i diritti di tutti!

    Poi sono d’accordo con te che potevano scegliere foto più variegate!

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    • Marta La Ferla May 28, 2015 / 12:21 pm

      Io ho scritto soprattutto quello che ho notato nella realtà locale (quella catanese, per intenderci), e secondo me negli ultimi tempi c’è una forte tendenza al conformismo. Ovviamente, dato che i grandi temi del momento sono i matrimoni gay e le adozioni, capisco ci sia la volontà di rivendicare la propria “normalità”, ma temo che a lungo andare questo possa portare all’omologazione e alla conseguente esclusione delle minoranze all’interno della comunità. Succede in tutti i movimenti di massa, purtroppo.

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